Un gol di Mancini regala alla Sompdorio il trofeo. Roma a secco ma...

Una resa obbligata

L'infortunio a Voeller dopo soli 20 minuti ha condizionato negativamente l'atteggiamento tattico dei giallorossi, incapaci di proporsi in attacco con il solo Muzzi (Rizzitelli ancora inutilizzabile). A fine gara insulti e minacce con Vialli in prima fila.
di JACOPO ROSI

La Roma ricomincia laddove aveva interrotto, ma la partenza 91/92 è diversa dall'arrivo 90/91. Il 24 agosto i giallorossi sono di scena a Marassi, in quello stadio in cui all'inizio di giugno avevano conquistato la Coppa Italia, imponendo l'1-1 alla Sampdoria campione d'Italia, dopo il 3-1 dell'Olimpico. Quel pareggio vale la conquista della settima Coppa Italia e la possibilità di contendere ai neo-scudettati la Supercoppa italiana, inventata da Silvio Berlusconi quattro anni fa.
Stranita dalle amichevoli (qualche successo in Inghilterra, una doppia disfatta in Olanda, tante polemiche per le espulsioni a catena, quindi un nuovo rovescio a Firenze e una leggera impennata a Ferrara contro la Spal) la Sampdoria si presenta in campo decisa a riscattare le mille chiacchiere piovute sul clan blucerchiato. Il risultato alla fine darà ragione alla formazione di Boskov; si tratterà di un risultato legittimo, firmato da una «volée» di Roberto Mancini che decide il match nel secondo tempo, ma non mancheranno i rimpianti giallorossi e, soprattutto le polemiche post-partita.
Cominciamo dai rimpianti romani. Sono tutti legati all'infortunio subìto dopo appena venti minuti da Rudi Voeller. Il tedesco è costretto ad abbandonare per una distorsione e Bianchi, che non può utilizzare né Rizzitelli (infortunato) né Carnevale (la Lega gli ha consentito di disputare le amichevoli, non gli incontri ufficiali) è costretto a rivoluzionare l'assetto tattico. In avanti gli resta solo il giovane Muzzi che si batte come un leone senza tuttavia riuscire a mettere in crisi la difesa blucerchiata. In poche parole, dopo l'uscita di Voeller sembra inevitabile la capitolazione.
La Sampdoria non è in gran serata ma riesce a passare con Mancini. Nessuno contesta il successo doriano. Semmai sono proprio taluni giocatori della Samp che fanno di tutto per accendere la miccia. Ci riescono prima Mancini (che non perde occasione per insultare Bianchi in panchina) e poi Vialli. Il Gianluca nazionale ne combina di tutti i colori; certe scene gli riescono facili. A fine partita scambia la propria maglia con quella di De Marchi: gli è indispensabile perché al momento di rientrare negli spogliatoi la getta a terra e la calpesta suscitando l'applauso.
Povero Gianluca, e povera Sampdoria. Ha voglia Boskov a cercare di convincere i suoi discoli che c'è bisogno di un bagno di umiltà. A distanza di pochi giorni arriverà l'esordio di campionato, cioè il terribile kappaò rimediato a Cagliari. Servirà la lezione? Ne dubitiamo. Talvolta non basta vincere uno scudetto per essere campioni d'Italia. Non si può non rimpiangere la signorilità del Milan. Dispiace soprattutto per Paolo Mantovani, uno dei pochi presidenti-gentiluomo attualmente in circolazione. Le sceneggiate dei «gioielli» avviliscono soprattutto lui che ha sempre interpretato il calcio in maniera esemplare.
Chissà che un giorno non decida di alzare la voce, vedremmo davvero una Sampdoria «bella» anche fuori dal rettangolo di gioco.

Tratto da La Roma settembre 1991

Indietro